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<anno_pronuncia>1956</anno_pronuncia>

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<tipologia_pronuncia>S</tipologia_pronuncia>

<presidente>DE NICOLA</presidente>

<relatore_pronuncia>Gaetano Azzariti</relatore_pronuncia>

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<data_decisione>05/06/1956</data_decisione>

<data_deposito>14/06/1956</data_deposito>

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<collegio><titolo>LA CORTE COSTITUZIONALE</titolo>composta dai signori: Avv. ENRICO DE NICOLA, Presidente - Dott.

GAETANO AZZARITI - Avv. GIUSEPPE CAPPI - Prof. TOMASO PERASSI - Prof.

GASPARE AMBROSINI - Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI - Prof. ERNESTO

BATTAGLINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO -

Prof. ANTONINO PAPALDO - Prof. MARIO BRACCI - Prof. NICOLA JAEGER -

Prof. GIOVANNI CASSANDRO, Giudici,</collegio><epigrafe>ha pronunciato la seguente<titolo>SENTENZA</titolo>nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 113

T.U. delle leggi di p.s. approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773,

promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza 27 dicembre 1955 del Pretore di Prato nel procedimento

penale a carico di Catani Enzo, rappresentato e difeso nel presente

giudizio dagli avv. Vezio Crisafulli e Giuliano Vassalli, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed

iscritta al n. 2 Registro ordinanze 1956;

2) ordinanza 27 dicembre 1955 del Pretore di Prato nel procedimento

penale a carico di Masi Sergio, rappresentato e difeso nel presente

giudizio dall'avv. Massimo Severo Giannini, pubblicata nella Gazzetta

Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed iscritta al n.

3 Reg. ord. 1956;

3) ordinanza 13 gennaio 1956 del Pretore di Siena nel procedimento

penale a carico di Ferruzzi Cesare, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale

della Repubblica n. 35 dell'11 febbraio 1956 ed iscritta al n. 15 Reg.

ord. 1956;

4) ordinanza 20 gennaio 1956 del Tribunale di Macerata nel

procedimento penale a carico di Madoni Ernerio ed altro, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 dell'11 febbraio 1956

ed iscritta al n. 18 Reg. ord. 1956;

5) ordinanza 23 gennaio 1956 del Pretore di Orvieto nel

procedimento penale a carico di Pacelli Corrado, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 27 febbraio 1956 ed

iscritta al n. 8 Reg. ord. 1956;

6) ordinanza 27 gennaio 1956 del Tribunale di Rossano nel

procedimento penale a carico di Gismondi Florinda ed altro, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 27 febbraio 1956 ed

iscritta al n. 11 Reg. ord. 1956;

7) ordinanza 16 gennaio 1956 del Pretore di Mantova nel

procedimento penale a carico di Bonfà Angiolino, rappresentato e

difeso nel presente giudizio dagli avv. Ellenio Ambrogi e Piero

Calamandrei, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60

del 12 marzo 1956 ed iscritta al n. 49 Reg. ord. 1956;

8) ordinanza 24 gennaio 1956 della Corte d'Appello di Milano nel

procedimento penale a carico di Alti Ambrogio, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 62 Reg. ord. 1956;

9) ordinanza 24 gennaio 1956 della Corte d'Appello di Milano nel

procedimento penale a carico di Gandini Carlo, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 63 Reg. ord. 1956;

10) ordinanza 24 gennaio 1956 della Corte d'Appello di Milano nel

procedimento penale a carico di Zanaletti Luigi ed altro, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed

iscritta al n. 64 Reg. ord. 1956;

11) ordinanza 12 gennaio 1956 del Tribunale di Vigevano nel

procedimento penale a carico di Bonardi Giuseppe ed altro, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed

iscritta al n. 67 Reg. ord. 1956;

12) ordinanza 11 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel

procedimento penale a carico di Sturla Pietro, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed

iscritta al n. 4 Reg. ord. 1956;

13) ordinanza 11 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel procedimento

penale a carico di Raugi Luigi, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale

della Repubblica n. 23 del 28 gennaio 1956 ed iscritta al n. 5 Reg.

ord. 1956;

14) ordinanza 17 gennaio 1956 del Pretore di Catania nel

procedimento penale a carico di Gozzo Giuseppe, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 30 marzo 1956 ed iscritta

al n. 9 Reg. ord. 1956;

15) ordinanza 17 gennaio 1956 del Pretore di Monsummano Terme nel

procedimento penale a carico di Querzola Primo, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 13 Reg. ord. 1956;

16) ordinanza 27 gennaio 1956 del Pretore di Busto Arsizio nel

procedimento penale a carico di Almasio Mario ed altro, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed

iscritta al n. 16 Reg. ord. 1956;

17) ordinanza 23 gennaio 1956 del Tribunale di Vicenza nel

procedimento penale a carico di Dalle Nogare Antonio, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 17 Reg. ord. 1956;

18) ordinanza 30 gennaio 1956 del Tribunale di Forlì nel

procedimento penale a carico di Mazzani Augusto, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 20 Reg. ord. 1956;

19) ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Gioia del Colle nel

procedimento penale a carico di Vasco Giuseppe, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 21 Reg. ord. 1956;

20) ordinanza 25 gennaio 1956 del Tribunale di Messina nel

procedimento penale a carico di Bongiorno Leonida ed altri, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed

iscritta al n. 23 Reg. ord. 1956;

21) ordinanza 23 gennaio 1956 del Tribunale di Asti nel

procedimento penale a carico di Vogliolo Giovanni, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 29 Reg. ord. 1956;

22) ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Poppi nel procedimento

penale a carico di Sassoli Arnaldo ed altro, pubblicata nella Gazzetta

Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta al n. 33

Reg. ord. 1956;

23) ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Salerno nel

procedimento penale a carico di Botta Carmine, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 58 del 9 marzo 1956 ed iscritta

al n. 34 Reg. ord. 1956;

24) ordinanza 8 febbraio 1956 del Pretore di Cento nel procedimento

penale a carico di Biondi Bruno, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale

della Repubblica n. 60 del 12 marzo 1956 ed iscritta al n. 35 Reg. ord.

1956;

25) ordinanza 20 gennaio 1956 del Pretore di Firenze nel

procedimento penale a carico di Dini Renato ed altro, rappresentati e

difesi nel presente giudizio dagli avvocati Domenico Rizzo e Massimo

Severo Giannini, Costantino Mortati e Achille Battaglia, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed

iscritta al n. 37 Reg. ord. 1956;

26) ordinanza 9 febbraio 1956 del Tribunale di Genova nel

procedimento penale a carico di Nati Ezio, pubblicata nella Gazzetta

Ufficiale della Repubblica n. 58 del 9 marzo 1956 ed iscritta al n. 40

Reg. ord. 1956;

27) ordinanza 9 febbraio 1956 del Pretore di Foggia nel

procedimento penale a carico di Tatarella Giuseppe, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60 del 12 marzo 1956 ed iscritta

al n. 41 Reg. ord. 1956;

28) ordinanza 25 gennaio 1956 del Pretore di Livorno nel

procedimento penale a carico di Sturla Pietro, pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed iscritta

al n. 56 Reg. ord. 1956:

29) ordinanza 1 febbraio 1956 della Corte d'Assise di Terni nel

procedimento penale a carico di Picchiami Dario ed altri, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 3 marzo 1956 ed

iscritta al n. 65 Reg. ord. 1956.

30) ordinanza 20 gennaio 1956 del Pretore di Orbetello nel

procedimento penale a carico di Carobbi Mario Cesare, rappresentato e

difeso nel presente giudizio dagli avvocati Ennio Graziani e Francesco

Mazzei, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del

16 marzo 1956 ed iscritta al n. 75 Reg. Ord. 1956:

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio

dei Ministri;

Udita nell'udienza pubblica del 23 aprile 1956 la relazione del

Giudice dott. Gaetano Azzariti;

Uditi gli avvocati Costantino Mortati, Francesco Mazzei, Massimo

Severo Giannini, Vezio Crisafulli, Giuliano Vassalli, Achille

Battaglia, Federico Comandini, Piero Calamandrei ed infine il vice

avvocato generale dello Stato Marcello Frattini.</epigrafe><testo>Ritenuto, in fatto:

La questione di legittimità costituzionale, che forma oggetto dei

trenta giudizi promossi con le ordinanze sopra elencate, è unica e fu

sollevata nel corso di vari procedimenti penali (alcuni in primo grado,

altri in appello) che si svolgevano a carico di persone alle quali

erano imputate trasgressioni al precetto dell'art. 113 del T.U. delle

leggi di p.s. per avere o distribuito avvisi o stampati nella pubblica

strada, o affisso manifesti o giornali, ovvero usato alto parlanti per

comunicazioni al pubblico, senza autorizzazione del l'autorità di

pubblica sicurezza, com'è prescritto nel detto articolo, o anche,

nonostante il divieto espresso di tale autorità. A tutti perciò era

contestata contravvenzione punibile a norma dell'articolo 663 Cod. pen.

modificato con D.L. 8 novembre 1947, n. 1382.

In uno dei procedimenti penali all'imputato era invece contestato

il reato di omissione di atti di ufficio provveduto dall'art. 328 Cod.

pen. in quanto, nella sua qualità di vice Sindaco, in assenza del

Sindaco, aveva omesso di provvedere alla rimozione di manifesti che

erano stati affissi senza l'autorizzazione della pubblica sicurezza,

nonostante le sollecitazioni a lui rivolte dal Comandante della

stazione dei carabinieri.

In questi procedimenti penali il difensore dell'imputato o il

Pubblico Ministero o entrambi sollevarono la questione sulla

legittimità costituzionale dell'art. 113 della legge di p.s. in quanto

l'autorizzazione ivi prescritta contrasterebbe con l'art. 21 della

Costituzione, il quale dichiara che "tutti hanno il diritto di

manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto

ed ogni altro mezzo di diffusione" (primo comma) e che "la stampa non

può essere soggetta ad autorizzazioni o censure" (secondo comma). In

conseguenza chiedevano e il giudice disponeva la sospensione del

procedimento penale e la trasmissione degli atti alla Corte

costituzionale per la decisione della questione di legittimità.

Sono così trenta ordinanze (18 di Pretori, 8 di Tribunali, 3 di

Corti di appello e 1 di Corte di assise): ciascuna regolarmente

notificata ai sensi di legge, comunicata ai Presidenti dei due rami del

Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

In conformità dell'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi

davanti a questa Corte, le trenta cause promosse con dette ordinanze

sono state chiamate nella stessa udienza del 23 aprile 1956 - secondo

l'ordine cronologico delle notifiche - per essere congiuntamente

discusse.

In tutte le ordinanze è osservato sostanzialmente che la questione

di legittimità costituzionale dell'art. 113 della legge di p.s. non

può dirsi manifestatamente infondata perché, nonostante il prevalente

indirizzo della giurisprudenza della Corte di cassazione a favore della

perdurante efficacia del menzionato art. 113, le decisioni non di rado

contrastanti delle magistrature di merito e le discussioni in dottrina

dimostrano che si verte in materia quanto meno controversa.

In una delle ordinanze si aggiunge ancora, riportando i motivi

esposti nella istanza di difesa, che il contrasto dell'art. 113 della

legge di p.s. con i principi espressi nella Costituzione renderebbe

illegittima la disposizione legislativa, anche se fosse ammessa la

natura meramente programmatica e non precettiva dell'art. 21 della

Costituzione.

Solo in cinque dei trenta giudizi promossi con le dette ordinanze

vi è stata costituzione delle parti e precisamente: di Catani Enzo

(ordinanza del Pretore di Prato 27 dicembre 1955); di Masi Sergio

(ordinanza dello stesso Pretore in pari data); di Bonfà Angiolino

(ordinanza del Pretore di Mantova del 16 gennaio 1956); di Dini Renato

(ordinanza del Pretore di Firenze 20 gennaio 1956); di Carobbi Mario

Cesare (ordinanza del Pretore di Orbetello 20 gennaio 1956).

I loro difensori, nelle deduzioni depositate nella cancelleria,

chiedono tutti che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale

dell'art. 113 della legge di p.s. e di quelle altre disposizioni

legislative la cui illegittimità, a giudizio della Corte, debba

derivare come conseguenza dell'adottanda decisione.

In tutti i giudizi vi è stato poi intervento del Presidente del

Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso, come per legge (articoli

20 e 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87), dall'avvocato generale dello

Stato, il quale, in via principale, sostiene che nei riguardi della

legislazione anteriore alla Costituzione non v'ha luogo a giudizio di

legittimità costituzionale, perché le norme precettive della

Costituzione importano abrogazione delle leggi anteriori che siano con

essa incompatibili e la relativa dichiarazione è di competenza

esclusiva del giudice ordinario; mentre le norme costituzionali di

carattere programmatico non importano difetto di legittimità di

nessuna delle leggi vigenti anteriori alla Costituzione.

In via subordinata, chiede poi che sia dichiarato non sussistere

incompatibilità tra l'art. 21 della Costituzione e l'art. 113 T.U.

delle leggi di p.s. e 663 del Cod. pen., con conseguente affermazione

di legittimità costituzionale di queste disposizioni.

Queste due tesi sono poi svolte e riaffermate energicamente nella

successiva memoria dell'Avvocatura dello Stato; ma con pari vigore sono

combattute nelle memorie avversarie, dove, specialmente in ordine alla

tesi principale, si sostiene che l'art. 21 della Costituzione ha

carattere spiccatamente precettivo e non pro grammatico e che, in ogni

caso, non bisogna fare confusione tra il problema dell'abrogazione

delle leggi e quello della illegittimità costituzionale, il quale

secondo problema sorge proprio quando l'abrogazione della legge sia

stata esclusa e renda così necessaria la pronunzia della Corte

Costituzionale.

In ordine poi al contrasto tra l'art. 113 della legge di p.s. e

l'art. 21 della Costituzione, i difensori delle parti assumono che tale

contrasto è evidente e perciò l'illegittimità costituzionale

dell'art. 113 deve essere dichiarata dalla Corte costituzionale.

Nella discussione orale le varie tesi sono state confermate da

ciascuna delle parti; ed inoltre da uno dei difensori è stato anche

sostenuto che l'intervento del Presidente del Consiglio non sarebbe

ammissibile, sia perché avvenuto senza preventiva deliberazione del

Consiglio dei Ministri, sia perché la materia della pubblica sicurezza

rientrerebbe nella competenza amministrativa del Ministero dell'Interno

e non già della Presidenza del Consiglio, mancante perciò di

interesse.Considerato, in diritto:

Poiché, come si è detto, unica è la questione di legittimità

costituzionale che forma oggetto dei trenta giudizi proposti con

altrettante ordinanze, la Corte ravvisa opportuno che la decisione nei

giudizi riuniti abbia luogo con unica sentenza.

È superfluo fermarsi sulle argomentazioni fatte durante la

discussione orale per contestare l'intervento del Presidente del

Consiglio dei Ministri. Le disposizioni della legge 11 marzo 1953, n.

87 sono chiarissime nel prescrivere che i giudizi di legittimità

costituzionale promossi con ordinanza si svolgano in contraddittorio

non solo di coloro che sono parti nella causa che ha dato origine alla

questione di legittimità, ma anche - quale che sia il contenuto della

legge impugnata, se pure relativo a materie di competenza di singoli

Ministeri - del Presidente del Consiglio, in relazione al duplice

effetto che la pronuncia della Corte costituzionale è destinata ad

avere, sia specificamente per la causa in corso, sia generalmente erga

omnes. Appunto per questo l'art. 23 della stessa legge impone la

notificazione dell'ordinanza che promuove il giudizio così alle dette

parti come al Presidente del Consiglio dei Ministri e gli artt. 20 e 25

regolano, insieme con la rappresentanza e la costituzione delle parti,

anche la rappresentanza e l'intervento del Presidente del Consiglio dei

Ministri. Questo intervento ha quindi un carattere suo proprio, come

mezzo di integrazione del contraddittorio prescritto dalla legge, e si

distingue nettamente dall'istituto dell'intervento regolato dal codice

di procedura e dalle norme processuali della giustizia amministrativa.

Né dall'uno né dalle altre è lecito perciò dedurre qualsiasi

elemento che possa valere per l'intervento del Presidente del Consiglio

nei giudizi davanti alla Corte costituzionale e vano riesce qualsiasi

sforzo dialettico in senso contrario.

In ordine alla questione di competenza sollevata dall'Avvocatura

dello Stato, è innanzi tutto da considerare fuori di discussione la

competenza esclusiva della Corte costituzionale a giudicare sulle

controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi è

degli atti aventi forza di legge, come è stabilito nell'art. 134 della

Costituzione. La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una

legge non può essere fatta che dalla Corte costituzionale in

conformità dell'art. 136 della stessa Costituzione.

L'assunto che il nuovo istituto della "illegittimità

costituzionale" si riferisca solo alle leggi posteriori alla

Costituzione e non anche a quelle anteriori) non può essere accolto,

sia perché, dal lato testuale, tanto l'art. 134 della Costituzione

quanto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1,

parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza

fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, è innegabile

che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado

che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non

mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a

quelle costituzionali. Tanto nell'uno quanto nell'altro caso la legge

costituzionale, per la sua intrinseca natura nel sistema di

Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria.

Non occorre poi fermarsi ad esaminare se e in quali casi, per le

leggi anteriori, il contrasto con norme della Costituzione sopravvenuta

possa configurare un problema di abrogazione da risolvere alla stregua

dei principi generali fermati nell'art. 15 delle Disp. prel. al Cod.

civ. I due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità

costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su

piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo

dell'abrogazione inoltre è più ristretto, in confronto di quello

della illegittimità costituzionale, e i requisiti richiesti perché si

abbia abrogazione per incompatibilità secondo i principi generali sono

assai più limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione

di illegittimità costituzionale di una legge.

Affermata la competenza di questa Corte, si può passare all'esame

della questione di legittimità costituzionale proposta con le

ordinanze sopra indicate.

Se le disposizioni dell'art. 113 della legge di p.s. possano

coesistere con le dichiarazioni dell'art. 21 della Costituzione è

questione che ha già formato oggetto di moltissime pronuncie della

Magistratura ordinaria e di numerosi scritti di studiosi.

Ma la questione è stata posta, quasi esclusivamente, sotto il

profilo della abrogazione dell'art. 113 per incompatibilità con

l'articolo 21 della Costituzione e le discussioni si sono svolte

principalmente sul punto se le norme dettate in questo ultimo articolo

fossero da ritenere precettive di immediata attuazione o

programmatiche.

Anche nel presente giudizio queste discussioni sono state riprese

dalle parti. Ma non occorre fermarsi su di esse né ricordare la

giurisprudenza formatasi in proposito, perché la nota distinzione fra

norme precettive e norme programmatiche può essere bensì determinante

per decidere della abrogazione o meno di una legge, ma non è decisiva

nei giudizi di legittimità costituzionale, potendo la illegittimità

costituzionale di una legge derivare, in determinati casi, anche dalla

sua non conciliabilità con norme che si dicono programmatiche, tanto

più che in questa categoria sogliono essere comprese norme

costituzionali di contenuto diverso: da quelle che si limitano a

tracciare programmi generici di futura ed incerta attuazione, perché

subordinata al verificarsi di situazioni che la consentano, a norme

dove il programma, se così si voglia denominarlo, ha concretezza che

non può non vincolare immediatamente il legislatore, ripercuotersi

sulla interpretazione della legislazione precedente e sulla perdurante

efficacia di alcune parti di questa; vi sono pure norme le quali

fissano principi fondamentali, che anche essi si riverberano

sull'intera legislazione.

Pertanto è il contenuto concreto delle norme dettate nell'articolo

21 della Costituzione e il loro rapporto con le disposizioni dell'art.

113 della legge di p.s. che dovranno essere presi direttamente in

esame, per accertare se vi sia contrasto dal quale derivi la

illegittimità costituzionale di queste ultime disposizioni.

Per escludere che contrasto vi sia, è stato da qualcuno asserito

che bisogna distinguere tra manifestazione del pensiero, la quale deve

essere libera, e la divulgazione del pensiero dichiarato, della quale

non è menzione nella Costituzione. Ma tale distinzione non è

consentita da alcuna norma costituzionale.

Tuttavia è da rilevare, in via generale, che la norma la quale

attribuisce un diritto non escluda il regolamento dell'esercizio di

esso.

Una disciplina delle modalità di esercizio di un diritto, in modo

che l'attività di un individuo rivolta al perseguimento dei propri

fini si concili con il perseguimento dei fini degli altri, non sarebbe

perciò da considerare di per sé violazione o negazione del diritto.

E se pure si pensasse che dalla disciplina dell'esercizio può anche

derivare indirettamente un certo limite al diritto stesso, bisognerebbe

ricordare che il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e

che nell'ambito dell'ordinamento le varie sfere giuridiche devono di

necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere

nell'ordinata convivenza civile.

È evidentemente da escludere che con la enunciazione del diritto

di libera manifestazione del pensiero la Costituzione abbia consentite

attività le quali turbino la tranquillità pubblica, ovvero abbia

sottratta alla polizia di sicurezza la funzione di prevenzione dei

reati.

Sotto questo aspetto bisognerebbe non dubitare della legittimità

costituzionale dell'art. 113, se il conferimento del potere ivi

indicato all'Autorità di pubblica sicurezza risultasse vincolato al

fine di impedire fatti che siano costitutivi di reati o che, secondo

ragionevoli previsioni, potrebbero provocarli.

Ma è innegabile che nessuna determinazione in tale senso vi è nel

detto articolo, il quale, col prescrivere l'autorizzazione, sembra far

dipendere quasi da una concessione dell'autorità di pubblica sicurezza

il diritto, che l'art. 21 della Costituzione conferisce a tutti,

attribuendo alla detta autorità poteri discrezionali illimitati, tali

cioè che, indipendentemente dal fine specifico di tutela di

tranquillità e di prevenzione di reati, il concedere o il negare

l'autorizzazione può significare praticamente consentire o impedire

caso per caso la manifestazione del pensiero.

È vero che questa ampiezza di poteri discrezionali è stata

notevolmente ridotta dal successivo decreto legislativo 8 novembre

1947, n. 1382, il quale consente ricorso al Procuratore della

Repubblica contro i provvedimenti dell'Autorità di pubblica sicurezza

che abbiano negata l'autorizzazione, disponendo che la decisione del

Procuratore della Repubblica sostituisca a tutti gli effetti

l'autorizzazione predetta.

Ma, ciò nonostante, la indeterminatezza originaria rimane e quindi

così per l'autorità di pubblica sicurezza come per l'organo chiamato

a controllarne l'attività a seguito di ricorso continua a sussistere

una eccessiva estensione di poteri discrezionali, non essendo in alcun

modo delineata la sfera entro la quale debbano essere contenuti

l'attività di polizia e l'uso dei poteri di questa.

La Corte costituzionale deve perciò dichiarare la illegittimità

costituzionale dell'art. 113 del T.U. delle leggi di p.s., fatta

eccezione per il comma 5), dove è disposto che "le affissioni non

possono farsi fuori dei luoghi destinati dall'autorità competente" la

quale ultima disposizione non è comunque in contrasto con alcuna norma

costituzionale e può mantenere la sua efficacia.

Quanto alle altre disposizioni dettate nel ricordato articolo, la

dichiarazione di illegittimità non implica che esse non possano essere

sostituite da altre più adeguate le quali, senza lesione del diritto

di libera manifestazione del pensiero enunciato nell'art. 21 della

Costituzione, ne regolino l'esercizio in modo da evitarne gli abusi,

anche in relazione alla espressa disposizione dettata nell'ultimo comma

dello stesso art. 21 e, in generale, per la prevenzione dei reati. È

stato già osservato che la disciplina dell'esercizio di un diritto non

è per sé stessa lesione del diritto medesimo. Del resto, la scarsa

aderenza di alcune disposizioni della legge di p.s. ai principi e alle

norme della Costituzione sopravvenuta ha già da molto tempo indotto

gli organi competenti a studiare una conveniente revisione della legge

di p.s.; e parecchi disegni di legge sono stati a questo scopo

presentati così alla Camera dei Deputati come al Senato della

Repubblica, l'ultimo dei quali ha pure recentemente avuto l'esame della

competente Commissione senatoria. È quindi desiderabile che una

materia così delicata sia presto regolata in modo soddisfacente con

una disciplina adeguata alle nuove norme della Costituzione.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 113

della legge di p.s. si ripercuote naturalmente sull'art. 1 del decreto

legislativo 8 novembre 1947, n. 1382, che è con esso strettamente

collegato; mentre non può essere dichiarata altresì l'illegittimità

costituzionale dell'art. 663 del Cod. pen. e dell'art. 2 del menzionato

decreto legislativo 8 novembre 1947, che lo ha modificato, perché le

sanzioni stabilite nel detto art. 663 Cod. pen. si riferiscono non già

esclusivamente al caso di fatti compiuti senza l'autorizzazione

richiesta dall'art. 113 della legge di p.s., ma in generale alla

inosservanza delle varie leggi che espressamente lo richiamano.

È, peraltro, chiarissimo che le disposizioni del detto art. 663

Cod. pen., in quanto sono riferibili al precetto dell'art. 113 della

legge di p.s., non solo diventeranno inoperanti, ma dovranno essere

considerate anche esse travolte dalla dichiarazione di

incostituzionalità delle disposizioni del medesimo articolo, anche

agli effetti particolari indicati nell'ultimo comma dell'art. 30 della

legge 11 marzo 1953, n. 87.</testo><dispositivo>per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti indicati in

epigrafe:

1. - Afferma la propria competenza a giudicare sulle controversie

relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti

aventi forza di legge anche se anteriori alla entrata in vigore della

Costituzione;

2. - Dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute

nei commi 1, 2, 3, 4, 6 e 7 dell'art. 113 del T.U. delle leggi di p.s.

approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773 - per la violazione delle

quali la sanzione penale è preveduta dall'art. 663 Cod. pen.

modificato con l'art. 2 del decreto legislativo 8 novembre 1947, n.

1382 - e di conseguenza dell'art. 1 del decreto legislativo 8 novembre

1947, n. 1382, salva la ulteriore disciplina per l'esercizio del

diritto riconosciuto dall'art. 21 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,

Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1956.

ENRICO DE NICOLA - GAETANO AZZARITI -

GIUSEPPE CAPPI - TOMASO PERASSI -

GASPARE AMBROSINI - FRANCESCO

PANTALEO GABRIELI - ERNESTO

BATTAGLINI - MARIO COSATTI - GIUSEPPE

CASTELLI AVOLIO - ANTONINO PAPALDO -

MARIO BRACCI - NICOLA JAEGER -

GIOVANNI CASSANDRO.</dispositivo></pronuncia_testo></pronuncia>

Esempio di xml delle massime

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<anno_pronuncia>1956</anno_pronuncia>

<numero_pronuncia>1</numero_pronuncia>

<tipologia_pronuncia>S</tipologia_pronuncia>

<data_decisione>05/06/1956</data_decisione>

<data_deposito>14/06/1956</data_deposito>

<tipologia_giudizio>GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE</tipologia_giudizio></pronuncia_testata>

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<numero>1</numero>

<titolo>SENT.  1/56  A.  GIUDIZIO  DI  LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE  -  INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - NATURA.</titolo>

<testo>L'intervento   del   Presidente  del  Consiglio  nei  giudizi  di legittimita'  costituzionale,  promossi  in  via  incidentale, si distingue  da  qualsiasi altra forma di intervento prevista dalle norme  processuali  civili  o  amministrative,  in  quanto  ha un carattere  suo  proprio  in  relazione al duplice effetto  che la pronuncia  della  Corte costituzionale e' destinata ad avere, sia specificamente  per  la  causa in corso, sia, generalmente, "erga omnes".</testo>

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<descrizione>norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (16/3/1956 e s.m.)</descrizione>

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